ANCORA SULLA PARTITA

Riceviamo da Assemblea no DL sicurezza e no ZOne rosse questo contributo che invitiamo a leggere.

“A seguito del corteo tenutosi il 14/10/2025 vogliamo rilasciare anche noi una nostra dichiarazione come Assemblea NO DL SICUREZZA NO ZONE ROSSE – Udine riguardo ad eventi che sono stati oggetto di una pesante campagna di disinformazione e criminalizzazione mediatica.

Anche noi eravamo presenti al corteo, così come eravamo presenti in città nei giorni e mesi precedenti, ed è proprio dalla preparazione della città in vista di questo corteo che vorremmo partire. Da tempo denunciamo con preoccupazione e rabbia le scelte repressive, intimidatorie e restrittive che questo governo e le amministrazioni stanno mettendo in atto. Questa assemblea si è ritrovata per costruire risposte al decreto legge sicurezza e all’attuazione delle zone rosse.
Abbiamo sempre temuto che le modalità securitarie avrebbero portato a risposte sempre più violente e autoritarie da parte dello stato, nelle vesti delle autorità incaricate di metterle in atto (forze dell’ordine in primis). Abbiamo denunciato la presenza sempre più massiva di controlli e armi sulle nostre strade.

In occasione di questa manifestazione abbiamo avuto un assaggio più evidente di quelli che sono i risultati della svolta autoritaria e dello stato di polizia nel quale siamo sempre più forzatx.
La preparazione della città per il corteo è stata un climax di tensione, un corteo cittadino trattato come una minaccia pubblica. La città distopica: serrande chiuse, tavolini e sedie nascosti, strade laterali presidiate da elmetti e manganelli. Camionette ed elicotteri. Era evidente che queste intimidazioni mediatiche fungessero da deterrente: dissuadere la cittadinanza dal partecipare al corteo, alimentando una narrazione di sicurezza “a senso unico”, seminando il panico.
Nonostante questo clima di terrore, la cittadinanza ha risposto alla chiamata. In strada sono scese moltissime persone, ci hanno raggiunto da regioni e nazioni diverse, hanno sfilato sotto gli occhi inquisitori delle forze armate dando un segno forte di solidarietà alla Palestina e di condanna del genocidio in corso.

Al termine del corteo, in piazza I Maggio, quando una parte delle/i dimostranti ha cercato di proseguire verso lo stadio dove si stava giocando l’infame partita Italia-Israele (e intanto giungeva notizia dell’ennesima chiusura del valico di Rafah, per affamare la popolazione di Gaza), la polizia ha dispiegato tutta la sua forza repressiva. Getti d’acqua violentissimi e lancio di un numero spropositato di lacrimogeni (150 secondo la Questura), spesso ad altezza d’uomo. Non c’è stato quindi alcun “corpo a corpo” (come ammette il questore) e di conseguenza gli “scontri” e la “guerriglia urbana” sparati in prima pagina dai mezzi di disinformazione sono stati in realtà un lungo fronteggiamento. La stampa ha dato ampio spazio a chi è stato colpitx da sassate e nessuno a chi è stato colpitx dai candelotti, nè agli effetti dannosi del gas lacrimogeno CS che invadeva l’intera piazza. Nessuno parla delle manganellate distribuite dalla polizia alle persone fermate (pescate nel mucchio), a cui va la nostra piena solidarietà. Si favoleggia di “danni alla città” che, a un esame sereno, si riducono (come riconosciuto anche dalla polizia) a qualche scritta sui muri, un paio di bidoni condominiali bruciati e qualche segnale stradale divelto. Si è voluto impedire, con estrema violenza, il ripetersi del corteo spontaneo del 3 ottobre quando una grande folla aveva raggiunto la stazione da piazza I Maggio.

La spettacolarizzazione della violenza e la narrazione basata su “buoni” e “cattivi” nasconde la violenza spropositata delle forze di polizia. I primi lacrimogeni, poco dopo l’arrivo in piazza, hanno sorvolato ampiamente la linea della contestazione finendo fra lx indecisx: quellx che non sapevano se contestare lo sproporzionato blocco di polizia o ascoltare i comizi. A questi sono seguite scariche continue e ripetute, sparate verso ogni direzione e ad ogni altezza, sotto gli occhi increduli di chi si chiedeva quale potesse essere stata la causa di tutta quella forza. Hanno colpito i versanti della collina del castello, dove sembravano esserci solo spettatori sugli spalti (ci chiediamo addirittura se fossero parte del corteo), raggiunto la collina di piazza primo maggio (che giusto per intenderci ospitava un gruppo di persone che tendevano una bandiera con su scritti i nomi delle migliaia di vite dei bambini palestinesi strappate dalle forze israeliane), attraversato a pochi metri di altezza da terra, e quindi sparati puntandoli in faccia, le persone riunite da una parte e dall’altra della piazza. E non si sono fermati mai, fino a che ogni singolx partecipante del corteo non se n’è andatx. I lacrimogeni sono stati affiancati dagli idranti, dalle cariche e dal progressivo avanzamento delle forze dell’ordine fino a quando l’intera piazza è stata sgomberata.

Udine, il 14/10/2025, sapeva da che parte stare, per quel che riguarda i territori palestinesi: la Palestina va liberata dal fiume fino al mare. Vogliamo una Palestina libera da vessazioni, apartheid, colonialismo, genocidio. Violenze unilaterali adoperate dallo stato di Israele, non senza la complicità delle potenze “occidentali”.
Al risveglio, però, non vorremmo che Udine si dimenticasse da che parte stare: la liberazione dalle violenze e dalla repressione passa anche attraverso i nostri territori e la condanna dell’uso arrogante e fascista della forza deve risuonare trasveralmente, attraversando tutte le realtà che il 14 hanno alzato la voce. Ci siamo oppostx all’idea di ospitare degli stragisti sul nostro territorio, mascherandoli come atleti. Pensiamo sia doveroso opporsi anche a chi la violenza la adopera localmente, sul nostro territorio, mascherandola come “sicurezza”.

Assemblea NO DL SICUREZZA NO ZONE ROSSE – Udine”

Che bella Udine che brucia!

Che Bella Udine che Brucia!

Per prima cosa, esprimiamo totale e incondizionata solidarietà alle persone fermate e arrestate al termine del corteo contro la partita della vergogna Italia – Israele di martedì 14 ottobre a Udine.

Negli ultimi mesi abbiamo visto scagliarsi un’ondata repressiva brutale sulle partecipatissime manifestazioni in solidarietà alla Palestina che hanno attraversato tutta l’italia. 
In moltissimi casi, la repressione si è diretta contro manifestanti alle loro prime esperienze di piazza, spesso minorenni o persone non inserite in contesti militanti o organizzati. Questo elemento, ormai ricorrente, fa pensare che non si tratti di episodi casuali, ma di una strategia precisa su cui vale la pena soffermarsi.

La priorità sembra essere fare prigionierx, non importa chi, né cosa abbia fatto. 

L’obiettivo è dare qualcosa in pasto ai giornali, alimentare il racconto securitario e giustificare i mezzi messi in campo. Se un’operazione non produce fermi o arresti, rischia di apparire “inutile” agli occhi dell’opinione pubblica. Il sensazionalismo mediatico sui fermi e gli arresti non è mai compensato dalla stessa attenzione quando le accuse cadono o arrivano le assoluzioni, che quasi sempre passano sotto silenzio. 
È un meccanismo di propaganda facile tramite arresti facili.

Questa repressione veicola un messaggio preciso: “in galera ci puoi finire anche tu”, anche se è la prima volta che scendi in piazza. È un tentativo di seminare paura e scoraggiare la partecipazione, soprattutto in un momento in cui le piazze per la Palestina hanno mostrato numeri che in Italia non si vedevano da anni. L’obiettivo è ridurre queste mobilitazioni spontanee e non organizzate a dimensioni “gestibili”, per poi avere campo libero nel colpire chi non desiste, fino a riportare tutto al silenzio, attraverso decreti e leggi sempre più repressive che passano inosservate perché “non ci riguardano”.

I cosiddetti “rastrellamenti a caso” quindi non hanno nulla di casuale. È una strategia consapevole: se vengono fermati militanti notx, la rete di solidarietà si può attivare; se vengono prese “persone comuni”, invece, si rischia che prevalga il silenzio, la paura, la tendenza a dissociarsi.

La repressione non punta solo a colpire chi lotta, ma a isolare, a neutralizzare la solidarietà e a trasformare la paura in rassegnazione.
E proprio così riescono a sedare la partecipazione e a disinnescare la possibilità stessa del conflitto.
Il vero obiettivo è spegnere quel che nasce quando la gente comune scende in piazza e segue il proprio istinto morale.

Ed è in questo quadro che si inserisce anche lo strumento della solidarietà. Se chi è avezzx alla repressione sa che nessunx va lasciato solx, chi mastica meno queste pratiche finisce a trovarsi spiazzatx, non sa a chi rivolgersi e la repressione diventa un fatto individuale e di solitudine.
A questo tentativo di neutralizzare la solidarietà e disincentivare la partecipazione si somma la tanto comoda distinzione fra manifestanti “buonə” e “cattivə” e fra manifestazioni pacifiche e degenerate, abitate da “infiltratə facinorosə”. Secondo questa narrazione, la libertà di manifestare il dissenso è garantita soltanto se espressa “pacificamente”.  Dove per “pacifico”  si intende “pacificato”, ovvero circoscritto e costretto nei limiti di quanto consentito dalle forze dell’ordine: tutto il resto, tutto quello che esistere al di fuori di questo asfissiante perimetro resosempre più angusto da leggi repressive e pacchetti sicurezza) è negativo, e deve essere condannato, pure dallə manifestanti “buonə”, pena la legittimità del loro manifestare e delle loro rivendicazioni agli occhi dell’opinione pubblica e forse pensiamo anche del poliziotto interiorizzato.
Di fatto, peró, il perseguimento di questa legittimità rompe i movimenti dal di dentro e presta il fianco a chi ci vuole divisə, diffidenti, spaventatə e ancor peggio isola chi è represso.

Per questa ragione consolidare narrazioni di questo tipo è complicità con l’oppressore.

Non crediamo in alcuna distinzione , crediamo solo nella diversità e varietà delle pratiche, poichè gli obiettivi politici e gli slanci rivendicativi si perseguono secondo forze diverse, canali diversi ed energie differenti.
Lo slogan “se toccano unx toccano tuttx” deve prendere concretezza effettivamente quando unx viene toccatx. Poco importa se le pratiche adottate in piazza siano condivise o meno: bisogna avere chiaro chi è il nemico.
La polizia è il nemico, che difende i padroni, le politiche genocidarie, chi devasta e avvelena la terra.
Lo stato è il nemico, complice del genocidio, dell’oppressione di razza, di classe e di genere.
Non lo sono invece lx compagnx che stanno al nostro fianco, anche se con tensioni o approcci diversi. La piazza deve restare uno spazio libero, senza registi né guardiani morali, aperto a chi rifiuta le proteste pacificate e addomesticate.

C’è un fuoco nella pancia che nessuno potrà mai domare, e ringraziamo chi con quel fuoco ha illuminato Udine di una bellissima luce!

Le strade e le piazze sono nostre e non le abbandoneremo per paura. Difendiamo chi lotta con noi e accanto a noi, accogliamo chi arriva per la prima volta e facciamo in modo che la solidarietà non rimanga solo uno slogan ma diventi una pratica quotidiana.

Nessun passo indietro!